Ogni anno per me e per i magistrati della mia generazione, questa giornata, cosi come quella del 23 maggio, del 21 settembre e di tante altre ancora, troppe, costituisce una occasione di forte coinvolgimento emotivo perché la lunghissima scia di sangue che ha accompagnato la nostra carriera ha segnato, inevitabilmente, la nostra vita professionale e personale, avendo contribuito a far maturare sempre più in noi la forte determinazione di onorare con il quotidiano impegno in difesa della legalità e della nostra democrazia la memoria di quanti hanno sacrificato la loro vita per difendere questi valori.
Ho conosciuto Paolo Borsellino nel luglio del 1978 – sono passati ben 43 anni – perchè dal 1 al 31 luglio di quell’anno ho frequentato l’ufficio istruzione di Palermo quale uditore giudiziario e Paolo fu mio affidatario.
Di lui ricordo la straordinaria umanità, il rigore morale e l’elevato spessore professionale per cui posso affermare che certamente mi è stato maestro di vita oltre che di diritto.
Il ricordo di Paolo è indissolubilmente legato anche a quello di un altro grande magistrato, Rocco Chinnici, perchè il primo giorno in cui iniziai il tirocinio all’ufficio istruzione di Palermo Paolo mi accompagnò nella stanza del Consigliere Istruttore per presentarmelo come capo di quell’ufficio.
Il destino mi ha riservato l’onore e l’onere di presiedere, 22 anni dopo, la prima Corte di Assise di Caltanissetta che ha giudicato mandanti ed esecutori materiali della strage di via Pipitone Federico, leggendo il dispositivo della sentenza il 14 aprile del 2000.
L’ultima volta che vidi Paolo Borsellino fu alla camera ardente di fronte ai feretri delle vittime della strage di Capaci e ricordo come se fosse ieri il forte abbraccio in cui ci stringemmo
Per concludere, visto il poco tempo disponibile, una breve riflessione sulla importanza della memoria
Voglio qui ribadire che la “memoria” non deve essere solo un momento rievocativo o commemorativo ma un modo per riscattare storicamente e moralmente quel processo di rimozione collettiva del fenomeno mafioso, ma anche di altri fenomeni, come la shoah, che ci rende tutti colpevoli.
La memoria serve soprattutto a respingere tutti i tentativi di “negazionismo” e a favorire, per contro, un autentico processo di conoscenza di certi fenomeni che deve diventare a sua volta coscienza critica per contrastare quotidianamente, soprattutto culturalmente, il fenomeno mafioso.
Sono profondamente convinto che la scuola sia l’unico laboratorio culturale che può concretamente promuovere la ricostruzione, la conservazione e la promozione di questa memoria collettiva; che possa favorire in ciascuno di noi la scelta irreversibile in favore di valori e principi in nome dei quali tanti servitori dello Stato e cittadini comuni hanno sacrificato la loro vita e, quindi, la consapevolezza di poter contribuire, ciascuno con il proprio quotidiano impegno in difesa della legalità, alla costruzione di una nuova etica collettiva e di una nuova etica pubblica.
Io credo che a Paolo Borsellino ci legherà sempre un debito di riconoscenza per avere contribuito con il suo sacrificio alla definitiva acquisizione alla coscienza collettiva della consapevolezza della insufficienza della sola risposta giudiziaria e della necessità di respingere con fermezza il mistificante tentativo di far credere che essa possa da sola costituire una soluzione taumaturgica ed esclusiva del problema del fenomeno mafioso e della necessità, per contro, di una crescita culturale e politica complessiva della società civile e delle istituzioni .
In questa prospettiva di crescita della società civile desidero sottolineare l’importanza della presenza dei magistrati nelle scuole per contribuire alla diffusione della cultura della legalità.
Alla base di questo impegno morale e sociale, che considero una forma di militanza “politica” in difesa della dimensione etica della legalità, v’è il profondo convincimento della necessità di onorare quello che considero il testamento spirituale di Paolo Borsellino: “Se la gioventù le negherà il consenso anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”.
Ottavio Sferlazza, magistrato in pension